L’Italia affonda: Il Bel Paese e la crisi, tra fallimenti e suicidi

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L’Italia affonda: Il Bel Paese e la crisi, tra fallimenti e suicidi
Pubblicato da admin il 10 ottobre 2014 in Cronaca, Economia, In primo piano, Politica Nazionale ·
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L’italia ai tempi della crisi, un drammatico report tra fallimenti e suicidi: Una situazione impensabile fino a qualche anno fa.

60amila imprese perse in 5 anni, chiude una azienda ogni 30 minuti. Il Financial Times lancia l’allarme: ”Se l’Italia non cresce farà default sul debito pubblico”. Il “problema” italiano, per il prestigioso FT è dell’unione. Il Bel Paese, non ha gli strumenti per superare il contingente sfavorevole.

ROMA – La Crisi uccide. Uccide piccoli imprenditori e disoccupati, età che oscilla tra i 45-60 anni, per lo più maschi, 149 solo nello scorso anno, un dato sconcertante. Un suicidio ogni due giorni e mezzo, è il bilancio drammatico pubblicato dal Link-Lab, un Ente che da circa due anni monitora il letale fenomeno sociale. Depressioni, perdita di speranza, abbandono delle Istituzioni, oltre a problematiche personali, sono le cause che inducono nel gesto estremo. Ma se i grandi colossi pensano di non essere contaminati si sbagliano, la crisi ormai sta uccidendo anche la grande impresa e ben preso tocca anche alle multinazionali. Il troppo è troppo e nessuno si salva.

Visti dall’Estero – Un editoriale del giornale di Oltre-Manica, mette in risalto le difficoltà oggettive “Il fardello del debito italiano“. Il Premier Matteo Renzi “ha promesso riforme radicali ma non ha ancora realizzato nulla” è la pesante accusa dell’editorialista, ed è “ingenuo pensare che l’economia ripartirà miracolosamente quando le imprese potranno licenziare il personale“. L’ancora di salvezza è l’acquisto di titoli da parte della Bce di Mario Draghi?

L’analisi del giornale continua col sottolineare che la permanenza nell’Eurozona del nostro Paese è messa in discussione, come tutta la zona Euro a seguire. Se anche nel 2015 e 2016 l’economia rimarrà stagnante, il rapporto debito/pil salirà fino al 150%”, mentre l‘unica via d’uscita dal circolo vizioso, spiega l’editorialista, consiste dunque in una crescita solida dell’economia, che deve essere più veloce di quella del debito. Di conseguenza la Bce non sta (ancora) comprando titoli di Stato italiani e l’euro dovrebbe svalutarsi di circa il 60% perché l’Italia possa ottenere una svalutazione di portata simile a quella del 1992, quando la lira lasciò temporaneamente il sistema monetario europeo. Le riforme sull’art.18 vengono considerate come palliative per una ripartenza dell’economia, e si auspica una campagna di emissioni titoli per investimenti infrastrutturali, una rivisitazione del concetto di fondo-salva stati, per trasmettere la liquidità opportuna nella economia reale. “Abbiamo bisogno di un’azione politica estrema e coordinata per permettere all’Italia di crescere, sostenere il debito e in definitiva rimanere dentro l’Eurozona”, è la conclusione del columnist del Ft. “Matteo Renzi, il primo ministro italiano, ha promesso riforme radicali, ma non ha ancora realizzato nulla. E comunque, questo non basta. La sostenibilità del debito italiano richiede politiche a livello europeo che finora sono state escluse. E’ qui che si deciderà il successo o il fallimento dell’eurozona”,la severa conclusione.

I fallimenti – Il 2013 è stato Hannus Orribilis sul fronte delle procedure concorsuali, hanno chiuso battenti 14.300 imprese circa,con un incremento del14%,solo quest’anno,cristallizzatosi in 4.300 unità perdute ( due ogni ora) rispetto al 2012.A livello territoriale pagano dazio maggiormente Lombardia, Emilia Romagna, Lazio e Veneto, falcidiato il settore del commercio al minuto e dell’edilizia, ma anche altri settori vengono colpiti, tiene quello Hi-Tech; un trend drammatico su base quinquennale, prova provata delle difficoltà delle imprese ad onorare gli impegni contrattuali e fiscali, i ritardi accumulati si traducono in interessi passivi,vveri colpi di grazia per le attività aziendali. Per il gruppo Cerved, analista di fama internazionale, anche le imprese che avevano superato la prima fase, non reggono al colpo della seconda fase della crisi, vista la stretta sul credito, che dipana ogni aspettativa di rimanere sul mercato.

“Stiamo vivendo – commenta Gianandrea De Bernardis, CEO di Cerved – una fase molto delicata per il sistema delle Pmi italiane: la nuova recessione sta spingendo fuori dal mercato anche imprese che avevano superato con successo la prima fase della crisi e che stanno pagando il conto sia al credit crunch sia a una domanda da troppo tempo stagnante”.

Nel Mezzogiorno e nelle Isole i fallimenti salgono rispetto ai primi sei mesi 2013, nel Nord Ovest del 10,7% e nel Centro Italia del 10,4%. I recenti correttivi legislativi hanno fatto crollare le domande di concordato in bianco (-52%) e diminuire i concordati comprensivi di piano (-12,3%). In declino anche le liquidazioni che, con un calo del 10,3% tra gennaio e giugno, segnano un’inversione di tendenza a livello semestrale dopo un lungo periodo di incremento. Un commentatore anonimo postava, un di un sito a diffusione nazionale una frase a mio parere illuminante del momento: “comunque tutto ha un senso.. chiuse le piccolo attività, distrutto il popolo degli artigiani, fenomeno tipico italiano, tutti andranno a lavorare per I grandi gruppi internazionali, torneremo a lavorare e solo quando serve, a 400 € mensili in fondo la maggioranza degli italiani chiede lavoro, e presto lo avranno”; analisi amara che riassume lo stato d’animo penoso di molti connazionali,adusi alla speranza.

Insolvenze, fallimenti – insolvenze, fallimenti, è un effetto domino inarrestabile che si ripercuote a tutti i livelli sull’intero bilancio dello Stato, dal settore entrate fiscali a quello della ricchezza prodotta, forse in nostri governanti non sentono il polso della nazione. Mancando un piano ed una visione complessiva di ristrutturazione del nostro tessuto produttivo, questi sono dati che suscitano una enorme apprensione per tenuta la della società. Si è arrivati oltretutto ad un punto tale che infondere ottimismo e continuare a rilanciare le decisioni o a rivendicare spazi di discussione, rischi di essere espressione di irresponsabilità. Una ipotesi avanzata da alcuni circoli economici liberal, è se gli effetti prodotti in termini di consumi da un peso fiscale più leggero e meglio distribuito (oggi i moltissimi che non possono evadere e che detengono il 50% della ricchezza contribuiscono al gettito complessivo per il’80, mentre quelli che sono messi nelle condizioni di poter evadere e che detengono il restante 50% della ricchezza contribuiscono solo per il 20%) se quelle aziende avessero chiuso lo stesso. La palingenesi del capitale è chiara: una crisi economica di questa portata determina necessariamente una immensa distruzione di capitale. Ma il capitalismo va periodicamente in crisi, per sua stessa natura, e anche se dovesse riprendere il ciclo espansivo di accumulazione, pure con una certa efficienza dovremmo poi rimanere in attesa della crisi successiva, sempre più grave, sempre più vicina nel tempo, sempre più insostenibile? I potentati industriali ed economici, del mondo globalizzato, mettono in competizione popoli e lavoratori per sfruttarli al massimo e ottenere il massimo profitto. Questa concorrenza al ribasso distruggerà diritti, welfare, tenore di vita in tutta Europa a partire ovviamente dai Paesi più deboli, in una spirale perversa, prima dell’ esplosione di UE ed euro.

Deindustrializzazione, disoccupazione ed immiserimento porteranno ad una cruenta lotta sociale tra poveri, al nascere di gravi disordini che saranno sedati con la violenza e a dittature autoritarie, un rischio paventato giornalmente da politologi e sociologi come fattibile.

I Suicidi – Un suicidio ogni 2 giorni e mezzo. E’ l’agghiacciante bilancio dello scorso anno, 149 persone si sono tolte la vita per motivi economici. Nel 2012 erano state 89, il 40% nel solo ultimo quadrimestre a testimonianza di una situazione precipitata in pochi mesi. I dati drammatici sono stati resi diffusi da Link Lab, il Laboratorio di ricerca dell’Università degli Studi Link Campus University, che da oltre due anni studia il Trend e che ora pubblica il suo Report fenomenologico. Come accennato prima,la crisi uccide in prevalenza uomini in una fascia di età che va dai 45 anni ai 60 anni,e riguarda imprenditori ridotti sul lastrico, o cittadini che hanno perduto irrimediabilmente un impiego. La decimazione,non conosce differenze geografiche: al Sud e pure al Nord. Nel 2012 il numero più elevato dei suicidi si registrava nelle regioni del Nord-Est (27 casi con un’incidenza percentuale pari al 30,3%), un’area geografica a maggior frequenza di suicidio tra gli imprenditori a causa della maggiore densità industriale. L’analisi complessiva dell’anno 2013 sottolinea come il fenomeno sia andato uniformandosi a livello territoriale interessando con la stessa forza tutte le aree geografiche. Persino nel Mezzogiorno dove il tasso dei suicidi per crisi economica è sempre stato tralatiziamente più basso rispetto alla media nazionale, vi è stato un allarmante aumento del numero dei suicidi: 13 i casi complessivi dell’anno 2012 a fronte dei 29 del 2013.

Si parla di suicidi di Stato, una espressione forte ma al contempo non completamente menzognera,il cittadino si sente lasciato solo dai governati,chiusi in un loro iperuranio, distanti dai problemi del vivere quotidiano,al di là di belle parole di incoraggiamento,un atteggiamento positivo estremizzato da dichiarazioni pubbliche e tweet, sembra un atteggiamento ingenuo ed irritante nei confronti di chi è in ambasce. Unità di sostegno psicologico si stanno attivando in tutta la Penisola per supportare la psiche dei troppi italiani che vivono un momento di apicale disagio, Che la crisi economica stia mietendo vittime è sotto gli occhi di tutti. Come anche appare evidente che non spetta ai mezzi di informazione tenere il conto delle persone che si tolgono la vita e dei motivi di gesti che tutti continuano a definire insensati. In un momento come questo, proprio per evitare speculazioni ed errate percezioni del fenomeno, l’Istat dovrebbe raddoppiare i propri sforzi per comprendere i motivi di disagio che portano gli individui alla disperazione. E invece, nonostante la rilevazione abbia un basso costo in quanto le informazioni sono trasmesse direttamente dagli organi di polizia giudiziaria, l’Istat ha deciso di cancellarla, lasciando un vuoto statistico difficilmente colmabile. Forse Siamo in guerra. Con tanti saluti a chi, , pensa di sapere tutto sull’argomento e di averne la verità inoppugnabile. E’ una guerra diversa dalle precedenti, si combatte con armi diverse, non ci sono i carrai armati o cavalli di frisia, in giro, non si sentono le esplosioni delle bombe. Ma gli effetti sono più o meno gli stessi: i negozi che chiudono, le persone che restano senza lavoro, la disperazione di chi non può più permettersi le medicine, non sono diverse da quelle di una guerra combattuta con i fucili. E i morti sono sempre morti, anche se non è il proiettile di un cecchino, ma il gesto estremo di chi vuol farla finita.

C’è una intera classe dirigente,che sta facendo la guerra contro il resto della popolazione. Un gruppetto di poche migliaia di persone che, in Italia come negli altri Paesi, ha dato l’assalto ai pochi beni che i cittadini “normali” posseggono; la prima casa un terreno,qualche risparmio, che, moltiplicati per decine di milioni di persone sono comunque un patrimonio ragguardevole. Senza dimenticare l’altrettanto ciclopico patrimonio di beni pubblici. Così i ricchi diventano sempre più opulenti i poveri sempre più miserabili, la classe media, vera cinta di trasmissione economica di un paese, tende a scomparire.

Quale Prospettiva – Il nostro Paese credeva, con l’euro, di essere al riparo degli attacchi speculativi, dall’onere della spesa petrolifera che in passato avevano costretto i governanti a laboriose svalutazioni che aggravavano ulteriormente il debito, permettendo, però, di esportare maggiormente le nostre merci divenute ulteriormente competitive e questo, per un paese manifatturiero era un ottimo viatico per creare lavoro e occupazione. Ricordiamo tutti la crisi dello SME e le rigide misure del governo Amato. Ma tali misure ci consentirono di rimetterci in linea in breve tempo grazie al fatto che avevamo una crescita media intorno al 5% e all’appuntamento con l’Europa, malgrado gli scettici, ci siamo entrati a pieno merito anche se qualcuno dice con i conti “truccati”. Ma qual è la prospettiva dopo quasi sei anni di crisi durissima paragonata, per gli effetti, ad una guerra? Siamo uniti nella convinzione che, per rifondare l’Europa e la nostra Patria, sono necessarie rotture decisive e sforzi strutturali,sul campo del welfare,come rimodulare il debito pubblico coi creditori per poter avere sostanze da infondere nel mercato,e sforare il patto di stabilità che sembra quasi un cappio,o meglio un macigno sulle istanze di sviluppo. La permanenza dell’Euro nella sua versione attuale sarebbe un mezzo sicuro per distruggere il modello sociale e portare l’Europa verso il declino. L’uscita potrebbe essere controllata e contribuire a una nuova organizzazione monetaria (ritorno a valute nazionali con margini di fluttuazione, convivenza di valute nazionali e di un “Euro esterno”).

L’uscita dell’Euro andrebbe accompagnata da un controllo stretto della finanza e dei movimenti di capitali per bloccare l’inevitabile speculazione, ma sarebbe comunque un azzardo, e allora ricostruiamo la Casa Comune, con regole mutualistiche,meno legate ai mercati finanziari e maggiormente attigue alle istanze dei cittadini, la vecchia EUROPA DEI POPOLI!
Roma, 10 ottobre 2014

fonte: http://www.massimo.delmese.net/76802/litalia-affonda-il-bel-paese-e-la-crisi-tra-fallimenti-e-suicidi/

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