Il 27% degli Italiani versa “zero” tasse!


L’evasione fiscale in Italia è un grande vaso di Pandora, dove si ritrovano i più importanti mali endemici del sistema Paese. Un basso senso della legalità, certo, ma anche un livello insostenibile di tassazione, spesso ben superiore al 50 per cento dei guadagni, e una soffocante burocrazia, con una scadenza fiscale e amministrativa ogni tre giorni. Distinguere l’evasore ricco e spregiudicato da chi scansa le tasse per necessità o per eccessivo carico, non è semplice, ma i dati possono aiutare a interpretare i diversi livelli del fenomeno. Innanzitutto bisogna dire che parliamo di una patologia cronica, strutturale, diffusa in modo capillare sia nelle diverse categorie sia dal punto di vista geografico. Il conto finale è diverso a secondo dell’ente o della società che esegue le rilevazioni, la cosa migliore è fidarsi della Banca d’Italia, secondo la quale ogni anno in Italia si evadono 180 miliardi di euro di tasse, comprendendo anche l’Iva attorno alla quale si costruiscono autentiche giungle societarie per non versarla.
Chi evade? La distinzione di fondo da fare è quella tra grandi e piccoli evasori. Alla prima categoria, per esempio, appartengono coloro i quali riescono a nascondere i soldi sottratti allo Stato italiano nei paradisi fiscali di mezzo mondo. Il problema non è nazionale, ma globale e non a caso due degli ultimi tre vertici tra i grandi paesi del mondo sono stati dedicati proprio alla lotta contro i paradisi fiscali, che si può combattere con efficacia solo attraverso azioni coordinate a livello internazionale. Sarà pure vero, come annuncia Enrico Letta, che “il clima è cambiato” per chi porta i soldi all’estero, ma restando alla realtà dei fatti questo fenomeno sta diventando sempre più diffuso, alla portata di tutti, dalla piccola azienda fino al medio professionista. Una prova? Navigando su Internet si scopre che esiste un vero mercato sul web dell’evasione fiscale pilotata: alcuni siti, come per esempio www.paradisi-fiscali.com, offrono con le massime garanzie un servizio “all inclusive”. Ciò significa un indirizzo (di solito postale) della società offshore, un prestanome, le varie iscrizioni commerciali e perfino, per la modifica cifra di 960 euro, il timbro con il logo della società creata per sfuggire al fisco. Tutto alla luce del sole, e tutto maledettamente semplice.
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D’altra parte, la potenza di fuoco del girone dei grandi evasori è certificata dall’analisi delle nostre denunce dei redditi incrociate con i nostri stili di vita. Siamo al sesto posto della classifica mondiale dei consumatori di champagne, tra i primi acquirenti di Suv, e abbiamo un patrimonio familiare (163mila euro) pari al triplo di quello di un cittadino tedesco, eppure i contribuenti che dichiarano un reddito superiore ai 300mila euro sono appena 31.752, mentre gli italiani che dichiarano e versano zero tasse rappresentano il 27 per cento della popolazione. Qualcosa non quadra.
In una fascia intermedia tra il grande e il piccolo evasore possiamo collocare buona parte dei commercianti che sfuggono al fisco. Dagli oltre 400mila controlli della Guardia di finanza compiuti soltanto nell’ultimo anno, risulta che un negozio su tre, compresi bar e ristoranti, non rilascia né ricevute né scontrini. Un gioielliere ha un reddito medio attorno ai 10mila euro, e il titolare di un negozio di abbigliamento dichiara in media 6.500 euro l’anno di reddito, un terzo della sua commessa che viene tassata su un imponibile lordo di 20mila euro. C’è da dire, a difesa della categoria dei commercianti e in generale del lavoro autonomo, che diversi contribuenti versano tributi molto bassi come persone fisiche, mentre hanno una quota significativa del reddito tassata attraverso le loro società. Nell’ultimo gradino della scala dobbiamo inserire gli artigiani che, specie quando sono molto piccoli, evadono per definizione. Lo sappiamo tutti quando chiamiamo in casa un idraulico, un falegname, un elettricista: la fattura diventa una fantasma. E se proprio insistiamo, la risposta di rito è disarmante: “Se devo fatturare, il prezzo sale”. Un metodo che i piccoli artigiani hanno imparato dai professionisti, specie gli avvocati e i medici.
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La diffusione della piccola evasione, a cavallo tra stato di necessità e italica furbizia, è confermata dal dato geografico degli italiani che sfuggono alle tasse. Secondo l’Istat, sono concentrati nelle regioni meridionali e in particolare le prime 34 posizioni delle città italiane per redditi evasi sono tutte occupate da centri del Sud: a partire da Crotone, Cosenza ed Agrigento, dove quasi la metà della popolazione attiva non paga le tasse. In pratica l’evasione rovescia la classifica dei redditi, dove invece è il Nord ad essere molto più forte, e se non vogliamo cadere nella facile retorica dello scarso senso civico delle popolazioni del Sud, allora dobbiamo prendere atto che nel vaso di Pandora dell’evasione c’è anche uno squarcio sull’impoverimento e sulle diseguaglianze territoriali.
Infine, c’è una domanda che deve fare riflettere: lo Stato quanto riesce a recuperare con la sua lotta all’evasione? Poco, troppo poco. Nonostante uno spiegamento di mezzi umani, tecnologici e finanziari ormai imponente. Come dicevamo siamo a 400mila controlli l’anno, è entrato in funzione, tra mille polemiche comprese le accuse di “Stato di polizia”, il redditometro, i nostri conti correnti non hanno segreti per il fisco, 1.900 persone lavorano presso la Sogei, la società informatica di Equitalia che si occupa dei controlli fiscali. Bene: dei 180 miliardi di tasse evase, nel 2012 lo Stato ne ha recuperati, incassandoli, 12,7, un risultato pari al doppio rispetto al 2008. Se però sottraiamo i 5,5 miliardi incassati per dichiarazioni presentate e imposte non versate (anche in questa categoria si segnalano scelte per stato di necessità del contribuente in difficoltà), si arriva a un totale di 7,2 miliardi di euro. In pratica appena il 4 per cento. Come dire che il gigante buono (lo Stato) che vuole rovesciare il vaso di Pandora dell’evasione fiscale in Italia assume anche le sembianze di una montagna che partorisce un topolino. E anche questo è un segno di un sistema Paese che non funziona.

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