La Russia e il web


La Duma, il ramo basso del parlamento, ha approvato in via definitiva una legge che equipara i blogger con almeno 3.000 utenti al giorno ai mass media, inserendoli in un registro speciale. Secondo la nuova regolamentazione vi è l’obbligo di verificare l’attendibilità delle informazioni diffuse, di non violare la privacy dei cittadini, di evitare pubblicazioni di carattere estremista.

Queste misure potrebbero rientrare, lette superficialmente, in un normale quadro di riassetto dell’informazione nell’era digitale, e tuttavia, complessivamente, la prima anomalia che balza agli occhi è che la nuova misura rientra in un pacchetto anti terrorismo messo a punto dopo il duplice attentato di Volgograd alla fine dello scorso dicembre.

Tra gli altri, quello di maggiore rilievo è il nuovo obbligo per tutte le società di comunicazione online, comprese quelle straniere, di conservare per sei mesi sul territorio russo tutti i messaggi degli utenti. Secondo quindi la nuova legge, e secondo le prime interpretazioni, tecnicamente anche le compagnie straniere come Google (Gmail), Facebook e Microsoft (proprietaria di Skype) sono tenute ad avere server nel Paese, allo stesso modo delle russe Yandex, Mail.ru o Vkontakte.
Il tema quindi non è propriamente quello della tutela dei cittadini e dell’informazione, quanto “territorializzare” il web e i server per poter intervenire sui contenuti, sottoporre il web alla legislazione russa e – in chiave di intelligence – non dover ricorre a rogatorie internazionali per ottenere informazioni e avere accesso ai messagi degli utenti.

Secondo Konstantin Trapaidze, esperto di diritto aziendale, contattato da Lenta.ru “le società straniere di servizi Internet non ricadono sotto la giurisdizione russa, pertanto su di loro le autorità federali non hanno reali strumenti giuridici di influenza. Se Google o Microsoft rifiutano di installare server in Russia Mosca non può fare nulla per obbligarle, l’unico modo è bloccare l’accesso ai loro servizi su tutto il territorio”.

L’ufficio stampa di Yandex, il maggiore motore di ricerca in cirillico, ha definito la nuova legge “un ulteriore passo verso il rafforzamento del controllo statale su Internet in Russia, cosa che ha un impatto negativo sullo sviluppo del settore” mentre le società americane non hanno ancora rilasciato commenti, attendendo i pareri interpretativi dei propri legali russi.

Questa vicenda in Russia assume un carattere ulteriormente restrittivo della libertà di espressione in rete, unico spazio di dissenso percepito come libero in un paese in cui i maggiori provider sono di proprietà o finanziati dalle multinazionali come GazProm, di fatto braccio economico del governo.

“Ho lasciato la Russia e non ho intenzione di tornare indietro. Purtroppo questo Paese non è al momento adatto per fare impresa su Internet” aveva dichiarato Pavel Durov dopo il suo licenziamento da VKontakte, il più grande social d’Europa per numero di utenti, fondato dallo stesso Durov nel 2006, omologo russofono di Facebook.
Classe 1984, un’infanzia trascorsa nel torinese al seguito del padre impiegato in Italia, Durov si è messo nei guai all’indomani delle elezioni della Duma del dicembre 2011, quando si oppose pubblicamente alla richiesta dell’Fsb di rimuovere un gruppo di discussione che denigrava Russia Unita, il partito di Putin.

Presto il 48% della compagnia è finito in un fondo legato a Ilya Shcherbovich. A gennaio ha venduto il suo ultimo 12% di quote a Alisher Usmanov, l’uomo più ricco di Russia, già in possesso del 40% della società, il quale si è così affermato come azionista di maggioranza. Amico personale di Putin, Usmanov è a oggi tra le figure più potenti del settore telco. Oltre a Vk è infatti socio numero uno della compagnia di telefonia mobile Megafon e del colosso digitale Mail.ru.

Anche se il Mark Zuckerberg russo non ha fatto sapere in quale luogo si trova ora, le indiscrezioni più probabili lo danno in Germania, dove ha sede la sua seconda azienda, la start-upTelegram, e dove Durov potrebbe ora avviare un’ulteriore business, probabilmente un nuovo social network concepito prevalentemente per la navigazione mobile.

L’allontanamento di Durov è da ricondurre alle pressioni dell’FSB, il servizio segreto di Mosca erede del KGB. L’episodio che coinvolge il colosso social slavo (con oltre 250 milioni di iscritti) è una nuova testimonianza di come negli ultimi anni, e in particolare dopo la fulminea azione militare in Crimea, Internet in Russia stia subendo quello che è forse il più drastico giro di vite mai sperimentato nella storia post-comunista del Paese.

L’ultima legge approvata ieri si inserisce in un quadro complessivo di molte nuove leggi introdotte nei mesi scorsi fcon lo scopo se non dichiarato comunque sostanziale di facilitare la censura delle pagine web degli oppositori del governo, il blocco dei siti esteri, e in generale la sorveglianza dei contenuti prodotti online.

Tra il dicembre 2011 e la primavera 2012, centinaia di migliaia di manifestanti erano scesi in strada contro le presunte frodi sui risultati elettorali. Decisivo per quegli eventi era stato proprio il coordinamento avvenuto sul web. Da qui l’obiettivo delle contromisure prese da allora, e intensificate in occasione della discesa militare a Sebastopoli: far sì che tali sollevazioni non possano più ripetersi.

Un esempio molto significativo dell’attuale clima è la legge Lugovoi, approvata dal parlamento all’inizio di febbraio, all’apice degli scontri di Euromaidan. Alla seconda metà del 2012 risale, per esempio, l’introduzione della lista dei siti proibiti – ufficialmente per pedopornografia, vendita di droga e istigazione al suicidio (ma nella blacklist era finito anche il video qui sotto,“Modi sciocchi per morire”) – gestita dall’agenzia Roskomnadzor. “Ma con la legge Lugovoi, per oscurare qualunque contenuto non è più necessaria alcuna autorizzazione della magistratura”, spiega Anton Nossik, 47 anni, celebre blogger e imprenditore online: “Si tratta di un segnale di arbitrio: in questo momento, le autorità non devono rendere conto a nessuno”.

E così, a partire dal 12 marzo scorso a quattro giorni dal contestato referendum che avrebbe sancito il ritorno della Crimea sotto bandiera russa, mentre l’opposizione moscovita preparava una vasta marcia di protesta nel centro della capitale, alcuni tra i più importanti siti indipendenti sono stati oscurati “per istigazione a partecipare ad eventi pubblici tenuti in violazione dell’ordine stabilito”. Parliamo di portali come Grani.ru, Ejednevni Jurnal, o di pagine di dissidenti di primo piano, come lo scacchista Garry Kasparov e il politico Alexei Navalny.

Secondo Gregory Asmolov, blogger su RuNet Echo, progetto di analisi della sfera digitale russa, “durante la crisi ucraina, per la prima volta, la voce del governo è riuscita a prevalere anche online. Da mesi, sui canali della tv nazionale, è in corso una campagna per rappresentare il web come un luogo pericoloso. Da un lato infestato di terroristi e pedofili. Dall’altro controllato dai servizi segreti americani”.

Persino Edward Snowden è stato usato come pretesto per giustificare le decisioni governative.

“Snowden ci ha insegnato una lezione” dichiarò nell’estate 2013 Ruslan Gattarov, membro del Consiglio Federale, “Abbiamo l’urgente bisogno di mettere sotto controllo nazionale grandi compagnie come Google, Microsoft e Facebook”.
Cosa si intenda per “controllo nazionale” lo spiega Andrei Soldatov, giornalista investigativo che ha documentato in modo esteso le mosse degli uomini dell’Fsb secondo il quale “è almeno dal 1995 che i nostri servizi segreti tengono d’occhio Internet. Ma nel dicembre 2011 si sono scoperti incapaci di reprimere le proteste. Da qui il bisogno di recuperare sul piano delle competenze informatiche. È stato così che l’Fsb ha iniziato ad approcciare le maggiori imprese digitali, chiedendo per poter fare affari nel più grande mercato digitale d’Europa di essere disponibili a passare i codici di crittografia”.

Cos’altro si possono aspettare gli utenti delle reti sociali russe? “Nel caso di una escalation delle tensioni con l’Occidente, le autorità procederanno verso una chiusura dei mercati, compreso quello delle telecomunicazioni”, riflette Soldatov: “In questo senso, gli oscuramenti andranno a toccare Facebook e Twitter, che il Cremlino associa a un pubblico progressista”.
E non si rischia, anche, un blocco di Vk? “Di quello, ormai, credo non ci sia più bisogno”.

fonte:
http://micheledisalvo.com/2014/04/la-russia-e-il-web.html

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